Rispetto a quello che riusciamo concretamente a guardare, è realmente finito il problema della “viewability”?

di Pierre Chappaz, Chairman e CEO Ebuzzing & Teads

Oggi, l’industria dei media digitali deve fare i conti con un dato allarmante: quasi la metà dei contenuti pubblicitari online, spesso erogati da brand multinazionali, non viene visualizzata dagli utenti e la situazione sta ulteriormente peggiorando.

Comscore ha stimato che nel 2012 non sono stati visualizzati circa il 31% degli ads e, secondo una nuova indagine pubblicata nel giugno del 2013, il dato è ulteriormente cresciuto raggiungendo il 54%.

Ma la musica continua ad essere sempre la stessa. Il trend negativo è tutt'ora ingombrante per vari motivi. A seconda del device che si utilizza per la navigazione su Internet, la visualizzazione degli ads è penalizzata da molti fattori come ad esempio: placement errati ai piedi di una pagina; contenuti pubblicitari che vengono skippati immediatamente perché non conquistano l'interesse dell'utente; nel peggiore dei casi, se l'annuncio è dietro a un pixel, quindi sicuramente oscurato, la rilevazione di una impression avviene lo stesso nonostante il lettore (di qualsiasi sito online) non abbia mai fruito il contenuto!

Queste riflessioni aprono un capitolo ben più ampio come il fatto che i marchi pagano per impression (non sempre non verificabili) e non hanno ancora capito qual è il reale valore tra qualità di ciò che acquistano e il prezzo. La situazione è sempre più complicata perché non c’è consapevolezza sul quello che viene comprato, per non dire che il meccanismo è un vero e proprio ladrocinio.

Gli organi di rappresentanza ufficiale del nostro settore, come lo IAB, stanno valutando con crescente apprensione il problema della “viewability”. Pertanto, si è deciso che: gli annunci pubblicitari basati su un modello a display, saranno valutati “realmente” come visualizzati se almeno la metà dei pixel è stata visionata per la durata minima di un secondo. Nel caso dei video, la metà del player dovrebbe essere visionata per circa per due secondi.

Inoltre, IAB con il Media Rating Council, sta conducendo una serie di rilevazioni proprio per misurare la visibilità delle campagne pubblicitarie su Internet. Anche se non sono ancora state adottate dal mercato; bisognerà prima o poi scardinare queste criticità.

Un “programmatic” buco nero?

L’incremento considerevole dell’acquisto della pubblicità online tramite il programmatic ha rinnovato i dibattiti sulla questione della "viewability", secondo altri punti di vista, assai pertinenti. Le agenzie comprano impression, presumibilmente di qualità, nei vari marketplace anche se una buona percentuale di questi contatti sono fittizi poiché – per le motivazioni prima spiegate – molti utenti potrebbero non raggiungere mai determinati annunci pubblicitari ed è senza dubbio un problema, non credete? Lo IAB, grazie all’iniziativa 3MS, ha rilevato la stessa tendenza allarmante sul loro sito web: il 60% degli annunci acquistati programmaticamente non sono visibili.

Rispetto a quello che riusciamo concretamente a guardare, è realmente finito il problema della “viewability”?

E' arrivato il momento di smuovere quello che non va bene e speriamo che l’innovazione tecnologica si evolva per porre fine a questa situazione che è pregiudizievole per gli inserzionisti e per la nostra industria. Siamo difronte a dei nodi difficili da sciogliere, ma abbiamo tante motivazioni per impegnarci a sbrogliare la matassa ingarbugliata.

Ecco cosa stiamo proponendo

La nostra soluzione video: 1. Il CPV

Noi di Ebuzzing e Teads, abbiamo lavorato per dare una svolta radicale al fatto che gli utenti non notano degli ads. Come prima cosa – anche per una questione di trasparenza nei confronti degli inserzionisti - invece di vendere impression, abbiamo deciso che il nostro modello di business si debba basare sul fatto che i costi, della distribuzione dei video sul nostro network di siti e blog, siano calcolati a CPV (cost per view) cioè sulle view complete avvenute, quando l’utente ha attivato, volontariamente, lo stream del video.

Per questa ragione, i nostri formati non si attivano mai in modalità “auto play", ma sempre secondo una logica click- to-play: il video inizia solo dopo che l'utente ha cliccato spontaneamente sul player. E' un vantaggio molto competitivo che consente di sfruttare un modello che giustifica il pagamento solo a fine campagna pubblicitaria e solo per gli utenti che hanno guardato il video per intero.

La nostra soluzione video: 2. Il View- to-play

Lo scorso anno, Teads ha proposto un concetto davvero rivoluzionario: View-to-play.

L'idea è quella di giocare solo con quel che è visibile. Il formato inRead Teads è stato il primo a rivestire le caratteristiche della filosofia View- to-play. E' una soluzione di advertising efficiente, che rispetta la navigazione e per questo è stato apprezzato rapidamente da moltissimi media, in tutto il mondo.

inRead risolve, radicalmente, il problema della viewability e crea nuove inventory di qualità per i brand premium: è quello che gli americani chiamano “a game changer”… I vecchi formati come pre-roll appena passati di moda!

Dopo il successo di inRead, Teads ha sviluppato altri prodotti basati sullo stesso concetto di View-to-play. L’aspetto interessante è che creano una forte esperienza pubblicitaria, rispettando lo user, come prerogativa su tutte. Quest’ultimo, infatti, se non interessato agli annunci può tranquillamente ignorarli semplicemente continuando a scrollare la pagina nel suo percorso di fruizione, di qualsiasi contenuto editoriale.

Ecco un esempio del format inBoard, capace di offrire la più interessante soluzione di branding, attualmente presente sul mercato.

Il View-to-play è una soluzione semplice ed elegante. Teads ha, altresì, declinato tale concetto in altri formati come l’inFeed per il social media flux e l'inPictures per un modello slideshow. Abbiamo tante idee e un forte team rappresentato da 100 ingegneri con sede a Montpellier, Tolosa e Parigi che ogni giorno continua a innovare perché su internet si possono inventare ancora tante altre opportunità di advertising. Soprattutto sul mobile!

Scritto da Pierre Chappaz, traduzione Antonella La Carpia

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